IL VELO DI MAYA E LA REALTÀ COME ILLUSIONE

Nel Mondo come volontà e rappresentazione A. Schopenhauer introduce il concetto di Velo di Maya che mutua dai Veda, complesso di testi sacri da cui prende nome la più antica religione delle popolazioni arie dell’India (vedismo), da cui successivamente si svilupperà l’induismo. Ma che cos’è il Velo di Maya? È il velo dell’illusione, che ottenebra le pupille dei mortali e fa loro vedere un mondo di cui non si può dire né che esista né che non esista; il mondo, infatti, “è simile al sogno, allo scintillio della luce solare sulla sabbia che il viaggiatore scambia da lontano per acqua, oppure ad una corda buttata per terra ch’egli prende per un serpente”. Per comprenderne pienamente il significato, è necessario tornare alla filosofia di Kant, che Schopenhauer conosce bene e dalla quale riprende la differenza basilare tra fenomeno e noumeno, ovvero tra la realtà come appare e la realtà in sé. La realtà fenomenica, per Kant, è l’unica conoscibile dall’intelletto umano, attraverso le forme a priori di spazio e tempo e le categorie che, opportunamente utilizzate dall’Io Penso, danno forma al materiale grezzo delle sensazioni. Il mondo fenomenico tuttavia, rimanda ad un noumeno (realtà in sé) che resta inconoscibile all’uomo, situazione che lo stesso filosofo descrive quando parla dell’isola della conoscenza. Nel riprendere questi due concetti, il filosofo di Danzica li carica di valori negativi considerando la realtà fenomenica come velo di Maya (apparenza illusoria), che si manifesta attraverso le forme a priori di spazio, tempo e causalità che, come dei vetri sfaccettati, ci offrono una visione delle cose si deforme, e pertanto la rappresentazione deve essere ritenuta un inganno e la vita simile ad un sogno. Tra la vita ed il sogno il confine è sottile a tal punto che Schopenhauer scriverà “vita e sogni sono fogli di uno stesso libro: leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare“. Tuttavia, al di là di essa, esiste la realtà vera, sulla quale l’uomo deve interrogarsi. Il noumeno che per Kant era la realtà inaccessibile per l’intelletto umano e come tale un concetto limite, diventa per Schopenhauer una realtà accessibile, anzi, è necessario che l’uomo vi acceda per comprendere l’essenza delle cose, ma come si può fare? Squarciando appunto il Velo di Maya, andando oltre la nebbia delle illusioni del mondo fenomenico, utilizzando il proprio corpo come chiave di accesso alla volontà. Riflettendo su me stesso, infatti, sono in grado di percepirmi come realtà fenomenica, e quindi sottoposta alle regole del mondo fenomenico, ma nello stesso tempo mi rendo conto che non sono un semplice oggetto tra gli oggetti, ma sono anche qualcosa di più, sono un’energia vitale, sono una forza inappagabile, sono appunto Volontà, termine che il filosofo utilizza per indicare la realtà noumenica. La mia vera e autentica essenza è la volontà, inconscia, cieca, irrazionale e inappagabile e come lo sono io, riconosco per analogia che lo sono tutte le cose, a diversi livelli, e che quindi l’essenza di tutta la realtà è la Volontà. Da qui il titolo Il mondo come volontà e rappresentazione. La Volontà, quella forza oscura che anima le nostre azioni, quella che Freud chiamerà inconscio e che per Nietzsche sarà lo spirito apollineo, nel suo essere inappagabile e senza uno scopo ben preciso, condanna l’uomo al dolore, all’insoddisfazione fisica e morale. Eloquente è, a tal proposito, la metafora del pendolo che Schopenhauer utilizza per descrivere la condizione esistenziale dell’uomo, “un pendolo che oscilla tra il dolore e la noia passando attraverso il breve intervallo del piacere”. Noia e dolore sono gli stati permanenti ai quali l’uomo è condannato e il piacere è solo una chimera, un palliativo temporaneo, un obbiettivo illusorio.