Monopoli, quando l’arte è solo un’etichetta

L’espressione “far passare per arte quello che non è” rappresenta l’azione – talvolta ingenua, talvolta volutamente ingannevole – di presentare come arte qualcosa che, nei fatti, non lo è. Può accadere in diversi contesti. Nel caso di un prodotto artistico di bassa qualità: opere che, per caratteristiche tecniche, creative o espressive, non sono all’altezza di essere considerate artistiche, ma vengono comunque presentate come tali. Un esempio? La copia banale di un capolavoro, spacciata per opera originale. Quando si incorra in casi di Truffa o speculazione: un prodotto viene proposto come arte in modo fraudolento, con l’obiettivo di generare profitto. Oppure seguendo una impostazione superficiale in cui elementi decorativi o simbolici assemblati senza reale riflessione o creatività, per dare un’apparenza di artisticità. Infine nel caso di una confusione di generi, un mix disordinato di discipline artistiche o attività creative, privo di coerenza e senso.
Il confine tra ciò che è arte e ciò che non lo è resta, comunque, labile e soggettivo. Tuttavia, avere una maggiore consapevolezza può aiutarci a non cadere vittime di inganni o superficialità.
Accanto ai falsi artisti, c’è un fenomeno ben più umano e comprensibile: il blocco dell’artista. Può colpire chiunque: da chi non trova l’ispirazione giusta per portare avanti un progetto, a chi si sente sommerso da troppe idee e non sa come incanalarle. Due facce della stessa medaglia: la mancanza o l’eccesso di stimoli.
Nel dibattito sulla qualità artistica si inserisce anche il tema della cosiddetta riqualificazione urbana. È il caso di Monopoli, dove la costruzione della “cattedrale laica” e della “casa del mare” dovrebbe, almeno nelle intenzioni, valorizzare il patrimonio storico, naturale e culturale della città.
Siamo in un’area già carica di identità e storia: la Porta Vecchia, un luogo simbolico sospeso tra mare, mura di cinta e paese nuovo. Prima della costruzione di questi edifici, lì sorgevano una scuola elementare e un asilo nido. Oggi, la situazione è ben diversa.
Da cittadino, pur senza competenze tecniche, osservo che questa riqualificazione ha trascurato l’aspetto ecologico-ambientale: un tema centrale in ogni progetto urbano degno di questo nome. Secondo quanto previsto, la cosiddetta “cattedrale laica” dovrebbe generare, attraverso un impianto di refrigerazione ad hoc, una sorta di “vapore refrigerante” per alleviare la calura estiva. Ma il numero di panchine è esiguo e, di conseguenza, pochissimi potranno beneficiare di questo effetto rinfrescante.
Invece, lo spazio avrebbe potuto (e dovuto) essere pensato come un luogo vivo, aperto a eventi culturali e sociali, in grado di restituire valore alla comunità.
L’architetto e botanico Stefano Mancuso lo ripete da anni: gli alberi sono i nostri alleati nella lotta al cambiamento climatico. Servono più spazi verdi e meno asfalto. Le strade, che oggi rappresentano circa il 30% delle superfici urbane, andrebbero in parte rimosse per rendere il terreno nuovamente permeabile e ospitare corridoi alberati: “fiumi di verde” capaci di attraversare i quartieri e trasformarli in oasi di salute.
Un recente studio del Barcelona Institute for Global Health, pubblicato su The Lancet Planetary Health, mostra che a Philadelphia, aumentando del 30% il verde urbano, si potrebbero evitare oltre 400 morti premature all’anno, con un risparmio di quasi 4 miliardi di dollari tra sanità e giornate lavorative. Anche l’Organizzazione Mondiale della Sanità e l’Università del Colorado concordano: salute dell’ambiente e salute umana sono strettamente interconnesse.
Basta considerare gli alberi come semplici ornamenti urbani. Piantare alberi significa investire in salute pubblica: la piantumazione dovrebbe essere inclusa nei finanziamenti di ogni nazione, come parte integrante delle politiche sanitarie.
Nonostante la pandemia e i periodi di lockdown, i dati sul consumo di suolo continuano a crescere. L’Italia perde terreno fertile a ritmo costante, rendendo il nostro territorio sempre più fragile di fronte alla crisi climatica. Le aree più colpite sono Lombardia, Veneto, le pianure del Nord, ma anche le coste siciliane, la Puglia meridionale e quasi tutta la costa adriatica.
Il fenomeno si concentra soprattutto nelle aree metropolitane: Roma, Milano, Napoli, Bari e Bologna guidano la classifica. Ogni anno i rapporti lanciano l’allarme, ma la politica continua a ignorarlo. Fino a quando potremo permetterci questa cecità?
Dietro la retorica della riqualificazione e la corsa alla creatività si nascondono spesso superficialità e scarsa visione ambientale. L’arte – quella vera – merita rispetto, così come la salute delle nostre città. Investire sul verde, sull’ecologia e sulla cultura significa investire sul benessere di tutti. E questo ci aspettiamo, questo è necessario.
Dott. Cosimo Mimmo Panaro

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