Gli studenti del Luigi Russo di Monopoli nell’inferno dantesco

Monopoli, venerdì 13 maggio, 41 studenti del “Luigi Russo” e i loro insegnanti hanno fatto l’esperienza di perdersi nella magia di “Hell in the cave. Versi danzanti nell’aere fosco”, spettacolo che ha debuttato per la prima volta nel 2011 e che vive della visionaria immaginazione del regista Enrico Romita e della drammaturga Giusy Frallonardo.

Una magia e un brivido che solo il teatro e la grandezza dei versi della Divina Commedia possono così amplificare. Studenti e studentesse dell’Istituto Professionale di Manutenzione e Assistenza Tecnica e dei Servizi per la Sanità e l’Assistenza sociale, assieme ai loro compagni del Liceo Artistico e del Liceo Musicale “Luigi Russo”, si sono immersi in un inferno dantesco in cui “sospiri, pianti e alti guai risuonava per l’aere sanza stelle… Diverse lingue, orribili favelle, parole di dolore, accenti d’ira, voci alte e fioche, e suon di man con elle facevano un tumulto, il qual s’aggira sempre in quell’aura sanza tempo tinta”.

Una cosa è leggere le terzine dantesche tra i banchi di scuola, una cosa è guardare negli occhi il dramma dei dannati, l’eterno dolore e lo spavento di una pena che mai trova pace. Il conte Ugolino, Ciacco, Pier delle Vigne, Brunetto Latini, il papa Niccolo III, le anime degli ipocriti, dei simoniaci e dei sodomiti, i dannati tutti, in un ordine stravolto rispetto ai canti danteschi ci hanno fatto sentire confusi e persi, traghettati con Caronte nelle nostre paure e nelle nostre insicurezze, ma come Dante coinvolti e commossi in quella storia di un “Amor, ch’a nullo amato amar perdona”, in quelle mani che cercano di afferrarsi e si sfiorano dolcemente, in quel vortice leggero a cui sono destinati per sempre Paolo e Francesca.

Anche con Ulisse, volteggiando in un abisso di dolore, abbiamo sentito il mare richiudersi sopra di noi e sulle nostre certezze, con lui siamo sprofondati in un tempo senza Dio, stretti al monito che fatti non fummo “a viver come bruti, ma per seguir vertute e canoscenza”.

Se un Lucifero in blue jeans ci ha coinvolti con il suo orribile “Papè Satan Aleppe”, è la figura di Beatrice, in una soluzione tecnica di grande impatto scenico, che ci ha ricondotti al “chiaro mondo… per un pertugio tondo. E quindi uscimmo a riveder le stelle”.

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