Conversano, 100 anni fa l’assassinio di Giuseppe Di Vagno (di Franco Iatta)

100 anni fa, una squadraccia fascista -incaricata di farlo tacere per sempre – assassinava, a Mola di Bari, l’onorevole Giuseppe Di Vagno. Ma la persecuzione del ‘gigante buono’ – come lo definì Filippo Turati – da parte dei fascisti era iniziata ben diverso tempo prima.
In occasione di uno sciopero sindacale organizzato dai contadini (25 febbraio ‘21) scoppiarono gravissimi disordini a Conversano. Di Vagno, pur non trovandosi nella sua città natale, venne accusato dai fascisti d’essere il massimo responsabile degli incidenti (che poi erano, invece, stati fomentati dagli stessi fascisti) e, quindi, gli fu proibito, addirittura, l’accesso alla sua città.
Il maggio dello stesso ‘21, i fascisti, stabiliscono che l’onorevole Di Vagno, proprio perché organizzava e difendeva gli interessi dei braccianti, non doveva svolgere attività politica, neppure nel suo collegio elettorale. Ma il 30 maggio Di Vagno venne inviato a Conversano, per festeggiare la strepitosa vittoria conseguita nelle politiche. Il deputato (che conosceva quanto era stato deliberato dai fascisti locali) decise, lo stesso, di tenere il suo comizio. Però un gruppo di squadristi (alcuni erano giunti sin anche da Cerignola) riuscì a disperdere, dopo una serie di violenti tafferugli, la folla che s’era radunata per ascoltare il suo avvocato. Negli scontri i fascisti provocarono un morto e una decina di feriti. E, nonostante avessero tentato pure di eliminare Di Vagno l’attentato fallì. Ma i fascisti, non per questo, cessarono di braccarlo ovunque si recasse per tenere comizi.
L’onorevole Di Vagno era, quindi, già sfuggito – prima dell’ultima fatale imboscata – ma sempre per un puro caso, a ben altri due attentati. Il 25 settembre del 1921 il parlamentare, però, viene nuovamente aggredito, a Mola di Bari. Il colpo è ben studiato. Un gruppo di squadristi, a cavallo, si era mosso da Conversano. Raggiungono Mola di Bari. Giuseppe Di Vagno ha appena terminato di inaugurare, con una modesta cerimonia, la locale sezione socialista. Passeggia, in compagnia di alcuni compagni, per le vie cittadine, quando il gruppo di giovanissimi squadristi, partiti da Conversano, porta a segno l’imboscata. Lo uccide. Tre i colpi di pistola che raggiungono l’onorevole. Una bomba a mano viene lanciata, ed esplode. È stata, forse, lanciata per creare panico. E, quindi, favorire la fuga degli squadristi.
La formazione fascista che aveva portato a termine l’attentato, era formata da una dozzina di giovani reclutati in parte anche a Cerignola. Per questo il capo riconosciuto dello squadrismo pugliese, Giuseppe Cardonna, sarà accusato dal sindacalista Giuseppe Di Vittorio “di diretta grave responsabilità” nel crimine. E per protestare contro l’esecuzione (sarà definita per l’appunto “barbara”) vennero proclamati due giorni di scioperi.
Sul crimine poi fu incaricato d’indagare lo stesso direttore generale della Pubblica Sicurezza che ne riferì al presidente del Consiglio del tempo. Al quale, testualmente, riferì il 14 ottobre del 1921: «Gli elementi adulti del partito fascista hanno il torto di aver inoculato un odio feroce nell’animo dei giovani ancora incoscienti e di non aver saputo frenare gli eccessi; ond’è che devesi ritenere gravi su di loro la responsabilità morale del misfatto che ha destato un senso di viva indignazione in tutta la cittadinanza».
«Il Popolo d’Italia», di cui era direttore Benito Mussolini, invece, minimizzò l’assassinio del deputato pugliese: finendo col far passare l’assassinio per un episodio politicamente irrilevante. E poi per giunta legato a beghe locali. Sicché la lapide commemorativa, inaugurata da Giuseppe Di Vittorio a Conversano in memoria di Di Vagno, fu due volte infranta. E due volte ripristinata.
Il tribunale, incaricato di giudicare l’episodio dell’omicidio Di Vagno, escluse la premeditazione. E inflisse a dieci imputati, lievi pene detentive. Amnistiate poi a fine 1922. Cosa per la quale gli stessi assassini furono poi festeggiati e portati in trionfo per le vie di Conversano. I manifestanti sostenuti dal locale fascio e dai suoi militanti, sostarono dinanzi all’abitazione della famiglia Di Vagno: per urlare in coro «Viva il 25 settembre». Era, appunto, la data dell’assassinio. Che così restava impunito.
francoiatta@tiscali.it

Franco Iatta

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