Fosti: «Il disagio cresce, ora più reti di sostegno»

Una intervista che fa molto riflettere sugli effetti del Covid sulla comunità italiana, è stata rilasciata da Giovanni Fosti, presidente della Fondazione Cariplo, a Carlo Verdelli del Corriere della Sera.
L’ICEBERG
L’iceberg, il secondo, ci ha preso in pieno, ha tagliato la nostra prua rabberciata di fresco e adesso la nave Italia imbarca contagi, e nessuno degli ufficiali in comando sembra avere le idee chiare su come evitare il disastro. Giovanni Fosti è alla testa di una delle scialuppe di soccorso. Una scialuppa di una certa stazza, la Cariplo, 7 miliardi di patrimonio, la più importante fondazione bancaria tra le 88 esistenti, in pratica quelli che danno soldi a quelli che fanno cose. «Il presente che stiamo vivendo fa paura. Ma credo che serva guardare avanti. Ci sarà un dopo, anche se adesso è difficile pensarlo, e bisogna cominciare a costruirlo. Governo e istituzioni prendano le decisioni necessarie e lavorino per rispondere all’enorme bisogno di fiducia delle nostre persone». Dice proprio così, «nostre», intendendole parte di una comunità grande come il Paese che abitiamo, un Paese che rischia di spezzarsi in due per l’effetto iceberg: tra vittime del panico e irriducibili della rimozione, tra naufraghi abbandonati alla solitudine e superstiti che dovranno comunque ripensare il futuro.

Il peso del terzo settore
La scialuppa di Fosti fa parte dell’imponente flotta che batte bandiera «Terzo settore», 350 mila associazioni, intorno ai 5 milioni di volontari, la cui missione storica sono le buone cause, tutte quelle che riuscite a immaginare. Nonostante le migliori intenzioni di continuare ad essere «salvagente», nel senso più concreto del termine, la flotta del no profit sta pagando un prezzo altissimo alla crisi da pandemia. Nel primo semestre di quest’anno, metà delle organizzazioni che operano sui territori è stata costretta a interrompere le attività. Nel tempo prima del virus, 2019, questo esercito delle salvezze muoveva 74 miliardi, il 4 per cento del Pil, in servizi «alle nostre persone» (a cominciare dai più fragili: bambini in povertà, anziani senza aiuti, disabili) e ai valori che sono la trama della «nostra comunità»: cultura diffusa, giustizia sociale, educazione alla legalità. Ma il mare è drammaticamente cambiato, la benzina della flotta della solidarietà si sta esaurendo, i fondi che le sono stati finora destinati sono briciole rispetto alle necessità.

Il salvagente si sta bucando, presidente Fosti?
«Siamo travolti, tutti avremmo diritto ad avere delle cose. Non voglio aggiungermi all’elenco di chi pretende. Ci sono molte misure che ci aiuterebbero, sia riducendo la tassazione a nostro carico, salita da 130 a 500 milioni in 7 anni, sia alleggerendo il peso fiscale per chi versa un contributo. E l’elenco sarebbe lunghissimo. Ma il punto vero è che il mondo che rappresentiamo non è vissuto come una priorità, e questo, ancora di più nella costruzione del dopo, sarà un problema».

Il sostegno di Fondazione Cariplo per l’emergenza Covid
È un uomo pacato, Giovanni Fosti, 53 anni, manager di formazione Bocconi, quarto presidente Cariplo, il primo dopo il lungo e onoratissimo mandato di Giuseppe Guzzetti. Viene da Delebio, Valtellina, provincia di Sondrio. Genitori, entrambi insegnanti elementari. Don Milani, forse non a caso, tra le sue letture di formazione. Cattolico ma non troppo, padre di una figlia di undici mesi, da poco (16 mesi) alla guida della Fondazione che innerva Milano e la Lombardia di stimoli e aiuti economici, Fosti ha cominciato a muoversi a bassa voce ma anche facendo propria la lezione di Italo Calvino sulla rapidità. In queste ore sta lanciando un bando per favorire la lettura, primo antidoto all’analfabetismo di ritorno che sta indebolendo l’organismo delle nuove generazioni. Venti giorni fa, ha licenziato un piano di 16 milioni a sostegno degli enti in sofferenza e delle categorie più esposte, scegliendo di finanziare 400 progetti su 1385 richieste. «No, non mi risultano altre iniziative di questa portata. E non c’è orgoglio in questa constatazione. Il virus va più veloce delle nostre contromosse. Bisogna scegliere con chiarezza pochi obiettivi, sapendo che il Covid è un moltiplicatore di disuguaglianze e il contrasto alle povertà, comprese quelle culturali, non è un atto di generosità: è un dovere civile».

Il Coronavirus colpisce e colpirà i più deboli, fisicamente, socialmente. Quale, secondo lei, l’urgenza più urgente?
«Dire le cose come stanno e lavorare per alimentare speranze concrete. Progettiamo il domani da oggi, consapevoli che la parte più grossa dell’iceberg è quella che sta sotto, che non vediamo. È la parte che farà crescere le disparità e anche le solitudini».

E quale sarebbe il vaccino sociale per il dopo?
«Moltiplicare le reti di sostegno. A Milano, ma vale per le grandi città, il 50 per cento delle famiglie è composto di una persona sola. Qualche decennio fa, una donna di 40 anni con due figli aveva intorno almeno tre adulti; adesso si ritrova spesso sola, dovrebbe poter guadagnare il triplo per sopravvivere dignitosamente. Ancora, abbiamo 3 milioni di anziani non autosufficienti e un milione di badanti. Il Paese deve decidere in quale direzione investire. Se non cresce una dimensione comunitaria, che permetta l’inclusione di chi sta scivolando ai margini, ci condanneremo a un futuro inaccettabile per i valori che condividiamo, per la democrazia, direi».

Anche i giovani, visti i tassi di abbandono scolastico precedenti al virus, rischiano di rientrare nello scenario di un futuro inaccettabile?
«La scuola è il campo d’intervento principale. Non entro nella discussione se in piena pandemia vada tenuta aperta o sia necessario richiuderla. So però che la digitalizzazione delle famiglie è un presupposto fondamentale perché nessun bambino venga escluso. Se non interverremo sull’educazione delle ultime generazioni, sugli strumenti per garantirla, avremo presto una specie di esodo dalla cittadinanza. A quale comunità appartengo? Perché devo fidarmi di istituzioni che non conosco, che non mi considerano? L’idea di rilanciare sul serio il Servizio Civile, proposta da Vita, il giornale e portale del mondo no profit, è un modo per tornare a coinvolgere i giovani. Il governo ha appena promesso un impegno di 200 milioni. Speriamo. Lo dice uno che il Servizio civile l’ha fatto».

Dove non arriva lo Stato, interviene il Terzo settore?
«Trovo fuorviante l’idea che il volontariato debba presentarsi come supplente di funzioni pubbliche indebolite. Stato, Mercato e Terzo settore sono tre cardini, con compiti differenti. Il nostro è quello di alimentare reti di comunità. Se ci lasciassero andare a fondo, per seguire la metafora dell’iceberg, ne risentirebbe tutto il sistema, Stato e Mercato compresi».

Dalla tolda di comando di Cariplo, di che cosa sente maggiormente bisogno?
«Sono andato all’addio pubblico di Liliana Segre, ad Arezzo. La sua capacità di elaborare e di trasformare in altro l’odio che ha subito, aiuta a tenere alto lo sguardo. Ecco, sento un grande desiderio di mitezza».

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