Amore omosessuale: una strada ancora lunga verso il rispetto e la dignità
La riflessione di Cosimo Mimmo Panaro
In un’epoca in cui i diritti civili hanno fatto importanti passi avanti in molte parti del mondo, ci si potrebbe illudere che l’amore omosessuale non desti più preoccupazioni sociali, paure o discriminazioni. Tuttavia, la realtà, se osservata con attenzione e onestà, ci racconta ancora un’altra storia: quella di un cammino tutt’altro che concluso, fatto di conquiste, ma anche di ostacoli, silenzi e invisibilità.
Riservatezza: una scelta o una difesa?
Per molte persone LGBTQ+, la riservatezza non è una semplice scelta di privacy, ma spesso una vera e propria forma di autodifesa. In molte famiglie, ambienti scolastici, luoghi di lavoro o contesti religiosi, l’amore omosessuale viene ancora vissuto come un tabù. Dichiararsi apertamente può significare perdere affetti, opportunità o addirittura la sicurezza personale. In questi casi, “non dire” non è una libera decisione, ma una strategia di sopravvivenza.
Il linguaggio che esclude
Anche i linguaggi dei media, talvolta, riflettono e rinforzano questa invisibilità. Quando si sceglie di parlare di una coppia omosessuale usando la parola “amico” invece di “compagno”, “partner” o “marito”, si contribuisce a ridurre la legittimità di quel legame, trasformando l’amore in una semplice amicizia. Questa scelta lessicale non è neutra: minimizza, sminuisce, cancella. E lo fa soprattutto agli occhi di chi sta cercando di comprendere sé stesso o di trovare modelli positivi di riferimento.
L’illusione della leggerezza
Parlare di questi temi con superficialità, ironia o inconsapevolezza può generare danni profondi. Chi affronta in prima persona queste problematiche, o chi desidera conoscerle con rispetto, o chi ha già affrontato all’interno della propria famiglia direttamente o indirettamente, ha bisogno di chiarezza, di verità, di rappresentazioni oneste. Un racconto confuso o sdrammatizzato in modo inopportuno può disorientare ancora di più chi sta cercando risposte, creando ulteriore solitudine e fraintendimenti.
Uno sguardo sul mondo
In oltre 60 paesi, l’omosessualità è ancora illegale. In alcuni di essi – tra cui Iran, Arabia Saudita, Somalia e altri – è punita con la pena di morte. Questo dato dovrebbe bastare a ricordarci che la questione non è chiusa, né circoscritta al solo ambito privato o culturale: riguarda diritti umani fondamentali, la libertà individuale e la dignità di milioni di persone.
E in Italia?
Nel nostro Paese, l’omosessualità non è criminalizzata da oltre un secolo. Le unioni civili sono state riconosciute nel 2016, ma il matrimonio egualitario resta ancora un traguardo lontano. Le adozioni per coppie omosessuali non sono pienamente accessibili, e l’assenza di una legge contro l’omotransfobia – dopo il fallimento del DDL Zan – mostra quanta resistenza culturale e politica esista ancora.
In molte scuole, il bullismo omofobico è una realtà quotidiana.E di questi giorni la notizia di un ragazzo di appena quattordici anni che sì è tolto la vita perché stanco di essere bullizzato dai suoi compagni di classe e pare anche da alcuni insegnanti che lo chiamavano “Paoletta” “Nino D’Angelo”. Il ministero ha inviato nella scuola del ragazzo gli ispettori per accertare eventuali, ma direi ovvie responsabilità.Nelle strade, le aggressioni a persone LGBTQ+ non sono un ricordo del passato, ma una cronaca ancora attuale.
Nulla è risolto
Affermare che tutto sia risolto sarebbe non solo ingenuo, ma anche pericoloso. Bisogna continuare a parlare con serietà, a formarsi, a educare, a raccontare l’amore in tutte le sue forme, con onestà e rispetto. L’invito è a un maggiore senso di responsabilità, soprattutto da parte dei media, delle istituzioni, della scuola e degli educatori.
Perché la strada verso una vera uguaglianza – culturale, sociale, giuridica – è ancora lunga. E nessun passo può essere dato per scontato.
Conclusione
L’amore, in tutte le sue espressioni, dovrebbe essere motivo di gioia, mai di vergogna o paura. Dovremmo tutti sentirci chiamati a costruire una società in cui nessuno sia costretto a nascondersi per essere sé stesso. Parlare di questi temi con consapevolezza è un dovere civico, culturale e umano. Perché i diritti non sono privilegi: sono la base di una convivenza giusta e realmente democratica.