Vivo per miracolo per tre secondi. Grazie mamma.

Vivo per miracolo. L’abbiamo sentita tante volte pronunciare. Abbiamo, in quarantacinque anni di attività professionale, fatto raccontare ad altri vicende che abbiamo licenziato genericamente con “miracoloso”, “che fortuna”, “per un pelo”, che c… .

Questa volta siamo noi a raccontare ed a scrivere: “Grazie mamma, dopo avermi dato la vita e salvato dalla morte”. Sì, dalla morte. E vi raccontiamo perché. Con una sorella ed un fratello che hanno vissuto più da vicino, rispetto a chi scrive che risiede in un paese limitrofo, gli acciacchi dell’età avanzata dei nostri genitori in tempi di pandemia, l’occasione di una visita cardiologica in fase 2 è il classico: “Mamma, tranquilla, ci sono anche io”.

La visita cardiologica per lei è fissata all’ospedale Jaia di Conversano alle ore 12. Ci aspettavano, e questo va sottolineato, con grande Amore e professionalità, sì amore con la A maiuscola che ti fa sentire protetti, sono loro i nostri eroi, anche qui da noi. Ci fanno accomodare in una stanza. L’infermiera, in attesa del medico, prepara gli strumenti per controllare il cuore (grande) di una donna affaticato dall’età e da un’operazione (al nord, sic!) all’aorta. Ci sediamo su una poltroncina marrone in attesa del medico. L’ansia aleggia nella stanza per l’attesa di un responso che arriverà di lì a poco. Pudore, emozione da condividere con meno gente possibile, in una stanza echeggiano parole che rimarranno indelebili per sempre: “Vito, aspettami fuori, non ti preoccupare”. Non stiamo a pensarci su due volte, colto il messaggio. Ci dirigiamo verso la porta, tre-quattro passi un rumore indimenticabile, indelebile. Oddio è caduta dal lettino. Per fortuna no. Tutto il personale del reparto si precipita in quella stanza dove, ci siamo lasciati dietro uno squarcio nel soffitto e chili e chili di calcinacci caduti su quella poltroncina marrone che avevamo lasciato non più, a rifare i conti, di tre secondi prima. Tre secondi, solo tre benedetti secondi.

Passato lo spavento ci resta la gioia e la consapevolezza che, senza quelle parole: “Vito, aspettami fuori, non ti preoccupare”, forse non saremmo qui a scrivere di una tragedia evitata ma l’ennesima storia, scritta da altri, di una tragedia consumata. Grazie mamma per avermi dato la vita per la seconda volta.

Vito Scisci

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